di Luca Marfé
La fabbrica dei sogni. Un po’ perché Hollywood li ha costruiti e li ha sparpagliati ovunque. Un po’ perché di più, ad un solo posto nel mondo, davvero non si può chiedere. La California è sinonimo di mito, di strada e di viaggio. Ma anche di stelle, di palme, di tramonti, di muscoli e di onde. Imperdibile, almeno una volta nella vita. O chissà, magari per una vita intera. Per afferrare volti, scenari e tempo tra le proprie mani e per non lasciarli andare mai più. La fabbrica dei sogni.Dove ciascuno vuole e può essere di più, dove ciascuno impara a sognare più forte.
San Diego
San Diego è bella che sembra finta. Perfetta al punto da risultare surreale. Una Los Angeles in miniatura che, tra clima ideale, distanze limitate e tratti di libertà vasti, si compone in un mosaico che rappresenta un po’ l’apice di tutto quanto. La Jolla è un gioiello di eleganza, di natura e di buona tavola (cosa affatto scontata negli Stati Uniti).
Tra boutique e automobili, le foche si concedono un sonnellino sdraiate sul sole degli scogli e fanno la gioia di bambini e fotografi. Nei ristoranti, invece, aragoste e granchi sono i protagonisti indiscussi di cucine e piatti. La penisola di Coronado guarda l’incanto fermo della baia da un lato e ascolta il ruggito feroce dell’Oceano dall’altro. Irrinunciabile lo skyline dal Centennial Park e un massaggio vista mare nella spa dell’Hotel del Coronado su Orange Avenue.
Un complesso vittoriano, con indosso un secolo e mezzo di storia e di fascino, curato in ogni dettaglio e ristrutturato proprio di recente. Se ne sta lì, appoggiato sulla sabbia, a due passi dalla linea dell’orizzonte.
Los Angeles
Los Angeles è enorme, a tratti dispersiva. È un agglomerato di tanti luccichii diversi nello spazio e nel tempo, molti dei quali vecchi, ma ancora scintillanti. Chi la conosce per davvero, chi vive qui o chi ci ha vissuto, difficilmente ne parla facendo riferimento al suo insieme.
E così, i quartieri diventano città nella città. Ciascuno con la propria anima, ciascuno con la propria magia. Hollywood su tutti, specie agli occhi di un europeo o di chi è cresciuto tra poltrone e passione di vecchi cinema. Da ammirare dall’alto, dalle ringhiere dell’osservatorio Griffith, che ha davanti a sé la scritta più famosa del pianeta ed alle sue spalle un panorama che non sa finire.
Da sbirciare e da desiderare nelle vetrine del lusso di Rodeo Drive o tra le aiuole impenetrabili delle ville di Beverly Hills e di Bel Air. Da conoscere lungo il pontile di Santa Monica, tra i jeans rotti di Melrose. Bisogna andare oltre l’ovvio, però.
Bisogna avere il coraggio di osare qualche chilometro in più, di avventurarsi tra i graffiti e le palestre di Venice Beach. Tra un drink ghiacciato e un racconto di vento caldo e di notte fonda. Bello anche perdersi, almeno per una pausa, tra le seduzioni di un’Italia che non c’è più neanche da noi.
Marino è un’istituzione in grado di regalare non soltanto l’eccellenza di una gastronomia al tempo stesso antica, moderna e di altissimo livello, ma è anche e soprattutto il ritrovo di tanti divi del cinema. Lo è da cinquant’anni, da quando Ciro (Mario per gli amici americani che proprio non riescono a pronunciarlo!) ha smesso i panni del cameriere per indossare quelli del napoletano che ce l’ha fatta. Ora lui non c’è più, così come non c’è più la sua amata Maria. Ma nessuno li ha dimenticati e i loro figli, Salvatore, Mario e Rosanna continuano ad accogliere leggende che, puntualmente, si rivelano rilassate e alla mano. Merito della qualità, merito delle atmosfere, merito di questi ragazzi. Come in un vecchio film, in cui al centro della scena, però, ci siete voi. E si riparte.
James Dean, giovane per sempre
Il 30 settembre del 1955 James Dean era alla guida della sua Porsche 550 Spyder in direzione Salinas, dove avrebbe dovuto partecipare ad una gara automobilistica. Era un grande appassionato di auto sportive e, lungo la US Route 46, trovò sulla sua strada un altro coupé, una Ford Custom Tudor lanciata a folle velocità da uno studente ventitreenne. I loro destini si incrociarono all’altezza della US Route 41. Il Mito aveva 24 anni. Morì, ma rimase giovane per sempre.
Carmel, Monterey e Santa Cruz
Brian, dice di chiamarsi Brian. Ha i capelli lunghi e biondissimi che gli si intrecciano tra le ciglia. Deve avere poco più di dieci anni, ma ha lo sguardo fiero di un adulto che sta per addomesticare il mare. Sfiora la sua tavola da surf, brilla come una stella. «Guarda che onde. Io voglio vivere lì, lì dentro».
Tre luoghi simili, ma differenti. Raccontati a meraviglia da un incontro casuale. Dal genio di chi, seppur ancora molto piccolo, coglie nel sale dell’Oceano il più famoso sale della vita. Da spendere così, ad osservare l’accavallarsi del blu, a sognare di poterne essere parte. E qui succede, succede veramente. Anche se si resta fermi in contemplazione sulla spiaggia. Perché l’acqua protesa verso litorali di casette perfette sembra essere un tutt’uno con la terraferma.
L’età media è molto alta, regna quasi sempre il silenzio. Silenzio che diventa incanto alla vista di una balena che si mostra in lontananza. Brividi. Di freddo anche quando dovrebbe far caldo. E di emozione, di attimi di un presente che è già ricordo indelebile.
San Francisco
Se si dovesse scegliere una parola sola per definire San Francisco, si perderebbe la testa di colpo. È impossibile. “Frisco” è una montagna di cose diverse.
È una corsa a perdifiato su una delle tante terrazze che guardano il Golden Gate Bridge. È il tramonto della vita, con il sole che si rintana dietro alle montagne e la baia che in prospettiva si fa ancora più grande attorno al suo capolavoro di ingegneria. È lacrime di gioia, che sanno di arrivo, che fanno sì che ne sia valsa la pena.
Prima di lasciare la macchina, prima di montare di nuovo su un aereo, però: il centro tirato a lucido, i quartieri limitrofi di fascino e degrado, le salite, le discese, i tram che vengono girati a mano grazie a vecchi meccanismi di metallo e legno. La Chinatown più grande al di fuori del perimetro dell’Asia, l’inespugnabile isola di Alcatraz. La quiete delle casine colorate, il frastuono delle lotte per i diritti civili che tuttora vibrano nell’aria. Difficile trovare una vera anima nelle città americane.
Nella stragrande maggioranza dei casi, tendono ad assomigliarsi.
San Francisco, però, non è affatto un caso e un’anima ce l’ha, eccome. Fatta di mille sfaccettature, illuminata a giorno da tutti i colori dell’arcobaleno. Sì, ne è valsa davvero la pena di arrivare fin quassù. Di svuotare serbatoi, di nutrirsi d’asfalto. Di perdere tragitto e sonno, ma mai tempo. Di essere stato, anche soltanto per un attimo, uno dei tanti ingranaggi che consentono e che consentiranno a questa fabbrica dei sogni di funzionare ancora, per sempre.