Dodici astronavi aliene compaiono in diversi punti della terra, il pianeta sembra apparentemente in pericolo: gli Stati Uniti provano ad agire. Una storia già vista? Non proprio…
Se vi aspettate che compaia un affasciante Will Smith pronto a combattere, vi sbagliate. Pur trattandosi di un film di fantascienza, Arrival è quanto di più lontano dal film di Emmerich – per fortuna, considerando il vergognoso Independence day – Rigenerazione.
Siamo soli nell’universo? Arrival, l’attesissimo film di Denis Villeneuve con Amy Adams, Jeremy Renner e Forest Withaker, in uscita il 19 gennaio, dimostra che, più importante della risposta è il viaggio della sua ricerca.
Dal regista a cui è stato affidato il compito di dirigere Blade Runner 2040, seguito del capolavoro di Ridley Scott, un film di fantascienza atipico che rompe gli schemi recenti per tornare ad una narrazione più classica.
Arrival parla di alieni e umanità, comunicazione, sentimenti e libero arbitrio. Nel film una traduttrice esperta (Adams) viene incaricata di comunicare con gli alieni per scoprire perché dodici astronavi dal ‘design contemporaneo’, quelle di cui sopra, abbiano deciso di invadere la Terra.
Che cosa vogliono? Qual è il loro scopo? Domande che si trasformano, nel corso del film, in interrogativi morali. Cosa vogliamo? Qual è il nostro scopo? E, ancora, cos’è il tempo? Ben recitato e ricco di rimandi cinefili e artistici, Arrival è figlio di 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, che richiama per la regia, e, nell’immagine dell’astronave, del quadro La voce dei venti di Magritte.
Un film da vedere e rivedere, adatto ad un pubblico ‘universale’.
Unica condizione: sapersi mettere in discussione ed essere pronti a pensare.
Voto: # # # # #
Emma Di Lorenzo